teatrodipoesia: NUOTARE DENTRO IL MARE DELLA GIOIA

NUOTARE DENTRO IL MARE DELLA GIOIA

laboratorio intensivo breve su teatro e mistica

diretto da Alessandro Berti

Oratorio di Oliveto (BO), 23-24 luglio 2016

Il lavoro riguarderà alcune frasi dai primi 9 capitoli dello Specchio delle anime semplici di Marguerite Porete. Lavoreremo sul corpo, come strumento di libertà che più che muoversi è mosso; sulla voce suonata: non cantata, non voluta, ma lasciata suonare; sulla parola, non strangolata dalle intenzioni ma detta semplicemente, così che chi ascolta possa gustarla.

Affiancheremo al testo della Porete un testo teorico della sua massima studiosa italiana, e forse mondiale: Luisa Muraro. Alle allieve/i verrà spedito infatti come sussidio il suo articolo Una dottrina di frontiera (1991). Verrà spedito anche il testo della Porete, con le parti che si chiede di imparare a memoria.
La giornata di lavoro quotidiano sarà dalle 11 alle 19, con intervalli. L'Oratorio dispone di una cucina e di una decina di letti, per chi vuole fermarsi la sera del sabato.

Il costo del laboratorio è di 150 euro.
Iscrizioni entro il 16 luglio.
Il laboratorio è aperto a un numero massimo di 10 allieve/i.

Per informazioni sul luogo: caterinabombarda@yahoo.it

Per informazioni sul lavoro: alessandroberti.mail@gmail.com

Lavorare assieme al capolavoro di Marguerite, testo che ha girato sottobanco l'Europa per secoli, a seguito della condanna dell'autrice, significa entrare davvero dentro un vortice di energia spirituale, condividere il fuoco che ha arso, prima simbolicamente poi letteralmente, questa forte figura di beghina, determinata a usare la sua propria voce cocciutamente e a ridare al pubblico i contorni della propria esperienza con verità. Marguerite Porete, figura simbolo, fa parte di un movimento ampio, variegato, amato e difeso quanto vilipeso e combattuto, da parti diverse di Chiese e governi, che oggi chiamiamo mistica femminile medievale e che Luisa Muraro, chiamando in causa Lacan, Luce Irigaray e il femminile del termine ebraico Ruah, Spirito, chiama invece teologia in lingua materna. Quale che sia l'attitudine che abbiamo nei confronti di queste parole, oggi è difficile, e non lo fa più nessuno, negarne la potenza, l'ispirazione spirituale, l'onestà intellettuale e il sapore di un resoconto di esperienza trascritta ma prima vissuta. Tanto che l'opera figura ormai trai classici di spiritualità medievale cristiana. Al lavoro dunque, nel far passare queste parole attraverso di noi! Vi aspettiamo a Forlì, l'ultimo weekend di marzo!

Poco da raccontare: pura esperienza di sé, di oblio di sé a favore di un transito di significati, di fiato, di parole, di grazia. Incamminarsi lungo una via infinita: per molti l'esordio di questo cammino, con tutta la sorpresa benedetta di essere nei pressi di un esordio. Provare a stare lì, in quel luogo di freschezza inattesa, senza certezze, nel puro presente continuo, senza più bisogno di chiudere, di incorniciare, di fissare, lasciando che le macerie della mente siano visitate dal soffio della grazia, dalla luce e dal vento, suonando anch'esse come ogni altra cosa attorno.

EROI è uno spettacolo nato a Monteforte nell'estate del 2007 a partire dalle poesie di Claudio Damiani. Commissionato dalla Comunità Montana Cinque Valli Bolognesi e dalla regione Emilia Romagna, è stato rappresentato in angoli di borghi di montagna, al tramonto, nelle estati 2007 e 2008. Il cast si è formato attorno al lavoro pedagogico di Alessandro Berti sul teatro di poesia e all'incontro con una famiglia di attori, la famiglia Bellandi di Roma, il cui primo figlio, Arturo, cinque anni d'età all'epoca del debutto, è il protagonista dello spettacolo.

Corpo a corpo con Astavakra

Il Canto del Maestro Astavakra è stato un workshop itinerante che mi ha impegnato lungo tutta lastagione 2006-2007.
Ho forzato anche alcune proposte di laboratori che mi furono fatte, pur di lavorare in continuità su questo testo.
Che è un testo, in questo momento e in questo luogo, che si presta a qualche equivoco.
L'interesse per l'oriente è un fenomeno piuttosto diffuso nella sua versione più superficiale, commerciale e pressoché inesistente come vero, approfondito lavoro interculturale. Lavorare a un testo di spiritualità medievale induista (di influenze shivaiste kashmire e advaita) si prestava a favorire incontri con a) qualche freakkettone genericamente infatuato di India b) qualche studente damsiano in cerca di assaggi tardonovecenteschi c) qualche praticante di discipline e/o religioni settarie di origine orientale, dalla tipica attitudine new age di considerare qualsiasi cosa come conferma alle proprie teorie. In effetti ognuna di queste categorie è stata rappresentata, lungo l'arco dei miei laboratori. Ma perlopiù si presentarono persone perse, umanamente e professionalmente, alla ricerca di qualcosa di nebuloso.

Si dice che viviamo in un epoca di incertezza ma secondo me viviamo piuttosto in un epoca in cui le persone posseggono certe loro inscalfibili certezze, formate a partire da presupposti logicamente inconsistenti e psicologicamente pericolosi. Io propongo agli allievi una cosciente auto-spoliazione, un denudamento, un alleggerimento necessario a mettersi in cammino, e l'Astavakra è un testo potente riguardo a questo. Ma pochi riescono ad abbandonare le loro piccole verità di seconda mano e a mettersi in cammino verso la propria, più intima verità. Ammetto che, vista così, la pratica teatrale è un'esperienza ascetica, o almeno a forte valenza etica, e che non tutti vedono le cose in questo modo. Rimane la sensazione di aver proposto a molti una battaglia che perlopiù hanno finto di combattere, per rispetto al pedagogo, come se non fossero loro a pagare me ma io a pagare loro. Il denudamento psicologico e il denudamento stilistico sono tra loro collegati, l'uno deriva dall'altro. E lungo questi mesi mi sono accorto di quante macerie, di quanta carne, plastica e caos ingombrino lo scenario odierno, e di quanto attaccamento barocco si frapponga tra noi e un gesto vero, gratuito.

Il luogo dove ho lavorato più a lungo e dove si è svolta la dimostrazione finale è stato Ivrea. Qui un gruppo di lavoro con un nucleo stabile mi ha proposto una certa continuità. E in effetti si è lavorato meglio che altrove. Io ho insistito per la presenza di Alberto Pelissero, docente di indologia, in modo da affiancare un lavoro teorico a quello pratico. E ho anche dovuto combattere perché il lavoro NON si trasformasse in uno spettacolo ma rimanesse aperto, un umile segmento di un percorso infinito. Anche questa ansia di trasformare qualche settimana di difficile lavoro su una fonte così delicata e fertile in un prodotto subito spendibile sul mercato testimonia, dal mio punto di vista, una certa difficoltà di comprensione dell'esperienza in atto.
E' strano (o non lo è affatto?): l'allievo migliore di quel gruppo, quello attraverso il quale con più verità e calma passava il testo, nella vita era una persona visibilmente ansiosa, nevrotica quasi. Mentre la finta calma della maggioranza risultava, a contatto con le parole di Astavakra, del tutto soporifera, blindata e falsa.

Il luogo dove si sono svolte l'ultima settimana di lavoro e la dimostrazione aperta al pubblico è un luogo magico. E' un prato, un piccolo balcone pianeggiante appena sotto l'abside della chiesa di Santo Stefano, a Chiaverano di Ivrea. L'area è immersa tra rosmarini e viti, muri a secco e orti, alle prime pendici dei boschi della Serra. Dagli affioramenti rocciosi spuntano fichi d'India, grazie a una felice esposizione a sud. Si domina la pianura, che scintilla di caldo e nebbia, e tra la nebbia spicca l'enorme insegna del Carrefour. Le alpi sono lì dietro, dalla Serra spuntano vette innevate, e tutta la catena occidentale nei giorni sereni si apre alla tua destra. Il giorno della dimostrazione ci trovammo presto sul luogo, due ore prima dell'arrivo del pubblico. Era la mattina del giorno d'apertura della stagione della caccia e nella boscaglia lì sotto risuonavano spari, guaiti e urla ('l'é mia morta cla bestia chéee' gridò agghiacciante una voce a un certo punto). Mi parve molto istruttivo, di nuovo, e un degno finale. Anche noi non eravamo ancora del tutto morti a noi stessi, e faticavamo a recitare le parole di Astavakra con credibilità.
Poi i cacciatori andarono a pranzo ed ebbe inizio lo spettacolo...

Alessandro Berti