Dal
libro di Giobbe:
Hai
tu sentito mai l'onagro del deserto
Ragliare
con davanti l'erba fresca
O
il bue muggire davanti alla pastura?
O
ancora dimmi come si fa a mangiare senza sale?
Che
sapore c'è dentro il chiaro dell'uovo?
E
a me tocca mangiare cibo nauseante
che
una volta mi avrebbe ripugnato di guardare.
Chi,
chi mi dà quello che voglio io?
Può
Dio darmi quello che aspetto io?
Dio,
finiscimi, Dio
stendi
la mano, a forbice, e taglia.
Io
non sono forte come il sasso,
la
mia carne non è dura come il bronzo!
E
non c'è un cane che mi aiuta, più nessuno
che
mi dà conforto!
Almeno
l'amico dovrebbe pietà all'amico
sfinito,
anche senza il timore di Dio.
I
miei parenti mi hanno deluso, abbandonato
scivolati
via come l'acqua,
tutti
spariti come l'acqua di un fiume
che
s'intorbidisce quando si sciolgono i ghiacci,
quando
si sfanno le nevi dentro,
ma
poi resta asciutto, dilegua,
si
fa arido e scompare sull'alveo
e
i suoi ultimi sgocciolii piegano via dal retto corso,
finiscono
in nulla, non si trovano più.
Mi
consumo, la vita sta scomparendo a poco a poco
e
tu lasciami stare, il tempo è nulla.
Cos'è
l'uomo perché tu ne tenga conto,
perché
lo pensi e lo scruti con la tua mente?
Perché
lo segni dalla mattina,
perché
lo metti in tentazione ogni momento?
Fino
a quando mi guarderai così fisso
e
non mi lascerai mandare giù la mia saliva?
Forse
ho peccato, peccato
ma
cosa devo fare, secondino dell'uomo?
Perché
mi hai preso a bersaglio?
Perché
non perdoni il mio peccato,
perché
non scordi la mia colpa?
Finirò
nella polvere,
mi
cercherai, non mi troverai più.
Com'è
ripugnante la mia vita:
lasciatemi
piangere, sfogare,
parlare
con quest'anima amara.
Dico
a Dio: Non condannarmi,
dimmi
perché vuoi litigare con me?
E'
giusto rovinare,
rovinare
l'opera delle tue mani?
I
tuoi occhi non hanno carne,
tu
non vedi come vede l'uomo:
la
tua giornata non è come quella dell'uomo,
i
tuoi anni non sono come i giorni umani.
Allora
perchè scruti le mie colpe,
indaghi
i miei peccati,
mentre
sai ch'io non ho colpe,
mentre
sai che nessuno può sfuggire alle tue mani?
Sono
le tue mani che mi hanno plasmato: vuoi distruggermi?
Ricordati
come mi hai messo insieme: con la creta:
vuoi
che torni polvere?
Mi
hai fatto colare come latte,
cagliato
come il formaggio,
mi
hai fatto un vestito di pelle e di ossa,
un
ordito di muscoli e nervi:
vita
e pietà mi hai regalato,
la
tua presenza ha salvato l'anima mia.
Tu
però tramavi anche questo, io so che tu ci pensavi fino da allora.
Se
tiro su la testa tu mi salti addosso
come
fa un leone
e
di nuovo Tu fai strage dentro me.
Sono
una fragile foglia secca mulinante in aria!
Perché
le ti accanisci contro
e
insegui un filo di paglia inaridita?
Hai
vergato contro di me una sentenza amara,
mi
rinfacci gli errori della mia adolescenza.
Tu
metti tagliole sotto i miei piedi,
vai
spiando ogni mio gesto,
tracci
le orme dei miei passi.
E
questo povero uomo si sfalda come un legno marcio,
come
un vestito mangiato dalle tarme...
Dal
Diario di Etty Hillesum:
Con
solo una camicia nello zaino
Vado
incontro a un avvenire sconosciuto
Lo
chiamano così
Ma
sotto questi piedi girovaghi
Non
c'è forse dappertutto la stessa terra?
E
lo stesso cielo
Non
si stende dappertutto sopra i miei occhi rapiti?
Ora
con la luna, ora col sole, per non parlare di tutte le stelle...
Perché
allora si dovrebbe parlare
di
un avvenire sconosciuto?
Mio
Dio devo lasciarti fare, di più
Non
devo metterti condizioni: purché io stia bene...
Anche
se non sto bene
La
vita non continua forse a andare avanti, e nel modo migliore?
Che
si possa essere un fuoco così luminoso!
Tutte
le parole che ho usato fino ad ora mi sembrano grigie, pallide,
sbiadite
Se
le paragono alla gioia di vivere, all'amore
Alla
forza che si sprigionano da me adesso.
Da
qualche parte dentro di me
C'è
un officina in cui dei giganti riforgiano il mondo.
Ti
prometto di vivere pienamente
Dovunque
Tu decida di farmi fermare
Fiorire
e dar frutti
In
qualunque terreno si sia piantati
E'
questo
E
dobbiamo collaborare alla sua realizzazione
In
me scorrono i grandi fiumi
E
si innalzano le grandi montagne
Dietro
gli arbusti della mia irrequietezza, dei miei smarrimenti
Si
stendono le grandi pianure della mia calma, del mio abbandono.
Tutti
i paesaggi sono in me
Ho
tanto posto adesso
In
me c'è la terra
E
c'è anche il cielo
Stamattina
all'alba sono saltata giù dal letto
E
mi sono inginocchiata alla finestra
L'albero
era immobile nell'aria grigia, silenziosa
Mio
Dio
Concedimi
la pace grande, potente della tua natura
Se
vuoi farmi soffrire
Dammi
il dolore grande, pieno
Non
le mille piccole preoccupazioni che consumano
Dammi
pace, fiducia
Tutte
le nostre preoccupazioni
Per
il cibo, il freddo, la salute
Non
sono forse mozioni di sfiducia nei tuoi confronti, mio Dio?
E
non ci castighi forse prontamente
Con
l'insonnia
E
con una vita che non è più una vita?
Sono
disposta a rimanere tranquillamente coricata per qualche giorno
Ma
allora voglio essere
Un'unica
grande preghiera
Un'unica
grande pace
Devo
portare di nuovo la mia pace con me
Pensa
tu alla mia pace mio Dio
Dovunque
mi troverò.
In
questi giorni mi preoccupo troppo per la mia salute, è sbagliato
Fa
che in me ci sia la stessa immobilità che c'era nella tua alba
grigia
Fa
che la mia giornata sia qualcosa di più che le preoccupazioni per il
corpo
Alla
fine ricorro sempre allo stesso rimedio
Salto
giù dal letto e mi inginocchio in un angolo della mia camera
So
che tutto deve crescere
Che
è un processo lento
Adesso
mi laverò dalla testa ai piedi con l'acqua fredda
E
poi starò sdraiata nel mio letto, immobile
Cercherò
di stare distesa, semplicemente
E
di essere tutta una preghiera:
Che
sia fatta non la mia ma la Tua volontà
Da
Jean Pierre de Caussade:
Divino
amore nasconditi, corri, salta tra le sofferenze, costringi con
l'attrattiva del dovere, componi, mescola, confondi, rompi come fili
tutte le idee e tutti i progetti dell'anima: che essa perda
l'orientamento, che non conosca e non veda più né strade, né vie,
né luci; che dopo averti trovato nelle tue dimore e nelle tue vesti
abituali, nel riposo della solitudine, nella preghiera,
nell'assoggettarsi a una pratica, nelle sofferenze, nel conforto dato
al prossimo, nella fuga dalle conversazioni, dagli affari, che dopo
aver tentato tutti i modi e tutti i mezzi conosciuti per piacerti,
essa finalmente si areni, non vedendoti più in nessuna di queste
cose, come ti vedeva un tempo! Che l'inutilità di questi sforzi
conduca infine l'anima a lasciare tutto, per trovarti in te stesso, e
dovunque, in tutto senza distinzione né riflessione. Perché, divino
amore, che inganno non vederti in tutto quello che c'è di buono e in
tutte le creature!