Il lavoro di formazione che propongo unisce forti suggestioni di contenuto verbale
(brevi frasi tratte da opere di mistiche e mistici) a un lungo lavoro
successivo che quelle suggestioni interpreta e svolge. Il lavoro è
prevalentemente fisico. Dal punto di vista di una definizione
puramente catalogativa, la prassi espressiva reale dei corpi al
lavoro, nei miei laboratori, si potrebbe definire un teatro-danza.
Appena l'ho proposta tuttavia, questa definizione mi appare molto generica. Il corpo si muove, e si muove non secondo strategie feriali,
di comunicazione realistica. Dunque, forse basterebbe dire: il corpo
danza. Ma anche la danza, che ha un codice, è in realtà in molti
casi un punto di arrivo che si fa, o che s'è già fatta, stile.
Dunque nemmeno di questo si può ancora propriamente parlare. Sospendiamo per ora il tentativo di una definizione sintetica della
nostra ricerca sul movimento e proviamo invece a
delinearne alcune caratteristiche generali.
Il lavoro
tende, a grandi linee, a invertire la polarità energetica quotidiana
che vede la parte alta del corpo gravata di una quantità di stimoli
di ogni sorta. Per prima cosa dunque, attraverso una serie di
esercizi, si riscalderà la parte bassa del corpo favorendo uno
svuotamento di testa e tronco a favore di un'irrorazione e di una
stimolazione delle anche, delle gambe e dei piedi. Poi toccherà alle
braccia: in esercizi specifici si riattiveranno, contemporaneamente,
i quattro arti: le due braccia (e mani) e le due gambe (e piedi), che
cercheremo di chiamare in causa in modo che il tronco, negli
spostamenti, sia un centro il più possibile inerte (o più propriamente: un centro appoggiato, sostenuto). Dopo questo
lungo riscaldamento muscolare sposteremo l'attenzione sul piano
osseo. Come dico ora: le ossa sono il vostro coreografo. Attraverso
varie visualizzazioni stimoleremo un esordio del movimento a partire
da punti specifici d'articolazione, corrispondenti a altrettante
giunture osteoarticolari.
Questo
momento propedeutico, questo riscaldamento, se volete, non è
null'altro che una proposta minima di attivazione del nostro
aggregato, un esordio di movimento profondo, sul quale poi costruire
un percorso il più possibile personale, legato alla qualità
dell'attenzione propriocettiva di ognuna e ognuno. Per favorire
ulteriormente questo percorso, oltre a indicazioni puramente fisiche,
entreranno anche stimolazioni verbali.
Brandelli
di resoconti d'esperienza mistica come la frase l'anima nuota nel
mare della gioia di Marguerite
Porete assomigliano a immagini come quella di Kazuo Ohno quando
propone di improvvisare sulla frase l'anima cola giù, l'anima
imbeve la terra. Sono
suggestioni di questo tipo, koan
sintetici da interpretare fisicamente, che proseguono le proposte
iniziali di tipo meramente fisico.
Io
ultimamente accompagno la ricerca delle allieve e degli allievi
dipingendo con rudi pennelli da imbianchino alcune di queste frasi o
altre, ancora più sintetiche, sopra grandi fogli di carta da pacco,
assieme a alcune immagini, disegni, simboli, la cui importanza, o
allusività, emergono naturalmente dal lavoro. In poco tempo la sala
prove si riempie di questi cartelli/segnaletica a cui si può, se si
vuole, ritornare al bisogno.
A
seconda della via che l'allieva/o prenderà, la mia funzione sarà
quella, sperabilmente maieutica, di verificare assieme a lei/lui la
veracità della sua presenza nel tempo e nello spazio, di volta in
volta stimolando discretamente l'ipomobilità esasperata frutto di un
blocco, o richiamando un' iperespressività a momenti di ulteriore
ricentratura e propriocezione. Il fine di questo lavoro non è il
raggiungimento di uno stile uniforme ma, al contrario, la ricerca di
un'azione verace del corpo in questione, azione quindi unica e
personale. Paradossalmente, questo lavoro può anche essere visto
come una propedeutica alla codificazione, invece che (o oltre che) un
punto d'arrivo espressivo di corpi già abituati a un codice fisico.
In
ogni caso, l'elemento fondante riguarda il nuovo
che ancora può emergere all'interno dell'abitudine fisica. Per fare
spazio a questo nuovo, cioè a quanto di non usato c'è ancora in
noi, schiacciato da tutto l'abusato che lo fascia, occorre molta
pazienza, attenzione, e fiducia nel vuoto, nel sunyata,
luogo fondante di molta arte e spiritualità orientali. Che
il nuovo si trovi a
partire da un vuoto è
intuitivo. Cercheremo di capire quali sono le condizioni, per ognuna
e per ognuno diverse, nelle quali questo vuoto propriamente ha luogo,
può aver luogo. L'accadere di questi momenti di vacuità è
invariabile, indipendentemente dal livello di coscienza e esperienza
delle persone che intraprendono il lavoro. La radicalità, a cui le
frasi e le immagini verbali che usiamo nel lavoro allude, serve
proprio a delocalizzarci dalla nostra immagine feriale, conosciuta,
mettendoci immediatamente in un terreno altro d'esperienza, un
terreno deliberatamente esagerato, in cui la realtà viene, per così
dire, ipergustata, chiedendoci così di tradurre in un segno fisico
credibile questo brandello di unione, di più o meno fugace
intuizione vitale.
Come
si sarà forse evinto, il mio lavoro è su un soggetto singolo alla volta,
sul suo percorso espressivo, ma direi meglio: de-espressivo, di
svuotamento kenotico e deliberato. Tuttavia, proprio per questa
centratura sul corpo singolo, il gruppo risulta fondamentale a
equilibrare il lavoro, a renderlo possibile, ad assorbire i momenti
di stanchezza. Una parte importante del lavoro riguarda un'educazione
allo sguardo dei tentativi altrui. Si deve imparare non il giudizio
del limite ma l'intuizione di quale possa essere il passo successivo,
per uscire dal limite. Questo s'impara guardando gli altri, poi
trasferendo questo sguardo su di sé. In fondo, quello che ci
aiutiamo a fare, è frantumare il dolore danzandolo,
secondo la definizione di
Roberta Carreri. Quando questo livello di frantumazione ha raggiunto
una certa dose di pervasività possiamo forse diventare anche oggetto
di sguardo per qualcun'altro. Ma il lavoro in sala prove non arriva
fin qua, perché concepire il piano performativo non come qualcosa di
diverso dalla piena presenza ma come il semplice spiare la piena
presenza di qualcuno da parte di qualcun'altro, tutto questo richiede
molti anni di lavoro, e non solo in sala prove.
Alessandro Berti