SCUOLA D'ESTATE

Cantiere teatrale diretto da Alessandro Berti

Monteforte (MO), Prati del Castello

3-5 e 21-25 luglio 2009

La Scuola d'Estate è un cantiere teatrale che si svolge durante i prossimi mesi a Monteforte, nell'Appennino tosco emiliano, in un borghetto a mille metri d'altezza. E' pensata come una serie di laboratori di approfondimento del lavoro teatrale, e in particolare di un teatro di parola, da svolgere in un luogo appartato e in condizioni di concentrazione privilegiate.

Il lavoro si concentrerà sul monologo, inteso come brandello di testo di qualsiasi genere purché in prima persona. La gran parte di lavoro sarà dunque individuale: un'ipotesi pratica di lavoro su sé stessi.
La proposta del testo su cui lavorare sarà a cura dell'allievo, che dovrà comunque concordarla con Alessandro Berti prima dell'inizio del lavoro, in un primo, importante, gradino di collaborazione e chiarificazione degli intenti.
La giornata di lavoro sarà di 6 ore circa e consisterà in momenti diversi, secondo le esigenze e i problemi che la pratica solleverà: lavoro individuale sul testo, lavoro comune sui testi di tutti, lavoro individuale con Alessandro Berti, conversazioni individuali e comuni.
La finalità principale della Scuola è quella di creare un momento di dilatazione e di silenzio, così da far nascere la parola da un vuoto, in piena presenza dell'interprete.

Ecco una presentazione delle caratteristiche poetiche del lavoro:

“L’immagine di riferimento è quella di un tronco cavo, fermo, attraversato dal flusso delle parole. 
Lo stato dell’interprete è un pavimento tranquillamente solido, il suo respiro regolare, lo sguardo vivo, il pensiero collegato con continuità ai pensieri che hanno partorito le parole dell’autore, e che ora fanno nascere quelle dell’interprete.
Si assiste al fluire del discorso, che prende vita secondo la progressione che soggiace al testo. Individuare i momenti in cui il testo ha uno scarto, un’evoluzione sarà il solo, fondamentale, lavoro di analisi a tavolino che l’interprete compie prima dell’inizio del lavoro teatrale vero e proprio.
Sono queste aree vuote del tessuto testuale che determinano una naturale evoluzione, fisica, psicologica, vocale dell’interpretazione. Ma queste venature non minacciano la solidità del pavimento interpretativo, le pareti del tronco cavo attraverso il quale le parole continuano a scorrere senza intoppi.
Una fisicità sostanziale, decontratta, che coinvolge tutto il corpo sosterrà il discorso facendo parlare il testo fino alle più sottili sfumature. I mezzi dell’attore paiono scomparsi, la tecnica si è fatta trasparente: ogni cosa può finalmente essere soltanto ciò che è.”


La proposta del testo su cui lavorare dovrà tener conto di queste indicazioni di poetica.
Il numero massimo di allievi per sessione è di 6 persone, così da permettere un lavoro approfondito e specifico.
Gli allievi possono partecipare liberamente a uno solo, a due o a tutti i momenti di lavoro.
La Scuola è aperta a chiunque abbia interesse per questo tipo di ricerca. Agli interessati viene chiesto di mandare una lettera di presentazione e motivazione a alessandroberti.mail@gmail.com.
Il costo dei laboratori di 3 giorni è di Euro 120.
Il costo del laboratorio di 5 giorni è di Euro 150.
In questa cifra è compreso anche l'alloggio in case del borgo antico con uso cucina. Il vitto è escluso. Il supermercato più vicino dista 7 km dal luogo di lavoro e alloggio.
La sera di sabato 25 luglio avrà luogo una dimostrazione pubblica del lavoro svolto, VOCI DAL SILENZIO, a cui parteciperà la popolazione locale e un piccolo numero di invitati.

Informazioni e iscrizioni:
Casavuota: tel. 0593970732 - 3384285847
alessandroberti.mail@gmail.com

Monteforte

Difficile spiegare a chi non lo conosce l'energia che ci si respira. Prima di tutto un'energia contadina, siamo in montagna ma ancora si coltivano campi, ci sono stalle e fienili, la costa dei monti guarda a occidente, e il sole scalda a lungo i campi, ancora fertili nonostante gli inverni nevosi. Però siamo a mille metri, l'aria è fresca, davanti a noi ci sono le vette del Cimone e del Corno, tutte e due attorno ai duemila metri, oggi che scrivo ancora un po' innevate.
Monteforte era un castello inespugnabile, talmente inespugnabile che gli ultimi dominatori, gli Estensi, lo distrussero dopo che era diventato un covo di briganti, come in un antico romanzo cinese. Oggi è un piccolo prato, con un oratorio, qualche rudere e un'antenna della Rai, che permette agli abitanti dell'alta valle del Panaro di vedere i giochi a quiz dell'ora di cena. Ma il borgo resta dietro di qualche centinaio di metri a tutto questo, e così da qui la Rai non si vede e siamo immuni da elettromagnetismo e stupidate catodiche. Il borgo sono quattro case, due pollai, qualche rimessa per attrezzi scavapatate (la patata è la ricchezza contadina della zona, in una variante dal sapore delicato, quasi di castagna), e da qui partono sentieri tra i faggi e i castagni che si inoltrano verso sud-ovest, dove la montagna sale ancora, tra mulini abbandonati e madonnine incastrate nelle rocce. A Monteforte ho scritto Pietra,pianta, il mio ultimo lavoro (per chi fosse interessato a leggerlo: http://alessandroberti.blogspot.com), l'estate scorsa. E' la storia di un personaggio un po' beckettiano e un po' buddhista che si rifugia quassù come una specie di monaco senza rotta né religione, ascolta i rumori e studia la forma delle nuvole, sperimentando il proprio ozio come simile alla condizione vegetale e fossile. Monteforte è un luogo di confine, non è (più) un eremo solitario ma si inserisce in un crinale, storico (da qui passavano le trincee della linea gotica nell'ultima guerra), geografico (è l'ultimo avamposto agricolo prima delle faggete e delle vette appenniniche) e culturale (convivono autoctoni contadini e cittadini da weekend al fresco), cioè un luogo con molte e nessuna identità, ideale alla concentrazione su qualcosa di concreto.
Monteforte mi ha insegnato la lentezza, la dilatazione temporale, la pazienza. Tutti privilegi, forse l'idea moderna della ricchezza. Monteforte è un luogo ideale dove ricaricarsi, o svuotarsi, dove il ritmo collettivo cede ed emergono più naturali possibilità. Questo vale anche per il lavoro teatrale, che non può fare altro che seguire i ritmi della natura, il giro dell'ombra tra gli aceri del prato dove si lavora, il caldo e il vento, le scrosciate di pioggia e le bonacce. Il sole però, quando picchia picchia forte, è il sole dei mille metri. E la notte la coperta è consigliata.